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Ci si vede ancora

Traduction de Monica Pavani

Anna

Bisognerebbe dire a tua madre che sei qui. Dovrei dirglielo. Forse sta in pensiero. O magari no. Oddio, se non stesse in pensiero. Cosa devo fare? Cosa faccio di te? Hai i capelli bagnati, guarda lì, sono fradici, così prendi freddo. Caspita, è bello, poter dire questo, queste poche parole, così prendi freddo, ti sei messa un maglione? E poi A che ora torni? Hai preso su tutto? O anche Vuoi mangiare qualcosa? Mi chiami quando arrivi?

Non ti vedo la faccia. Mio fratello dormiva così, con le dita sugli occhi, come se volesse tenerli chiusi. Per anni l’ho visto dormire così. Non ho mai capito come potesse stare in quella posizione mentre dormiva. Magari lo fa ancora. Chi lo sa. È da tanto che non lo vedo dormire,

Tu non sono le dita, hai la mano chiusa davanti alla faccia. Da cosa ti nascondi? Da che cosa ti proteggi? Dalla luce no, non qui, è già quasi completamente buio. Però i giorni si allungano, domani sarà il 1 febbraio e il primo febbraio alle sei di sera c’è ancora un po’ di luce, me l’aveva fatto notare mia madre, una frase, così, che ripeteva ogni anno perché aiuta a sopportare questo mese orrendo, febbraio, e io da allora la aspetto con impazienza, quella luce che resiste, l’aspetto e a mia volta l’annuncio, come una buona notizia, la dico alla gente, alla maggior parte non interessa ma succede sempre, basta una persona, è per questo che mi sarebbe piaciuto insegnare, per quell’unico bambino, naturalmente in fondo alla classe, che poi non è mica lì, si sta facendo dei gran viaggi, e chissà dove è diretto, ma a un tratto la sua faccia si illumina, per una frase colta al volo, allora sai che le cose continueranno, forse c’è qualcuno, in quel momento, con la fronte contro il vetro che dice ma guarda, ci si vede ancora un po’, eh certo, domani è il 1 febbraio…

L’avevo detto a Lucie. Mille volte. Ma le cose belle, si possono ripetere troppe volte?

Vado in sala ad accendere una lampada, torno, non ci metto molto, meno male che non mi senti, meno male che io non parlo, sembrerei una pazza, preoccupata per una figlia che non è mia e che è arrivata qui, con i capelli bagnati, i pantaloni pure, gli occhi pieni di lacrime, e tutto quel mascara colato che ti dava l’aria di un clown al contrario, allora sì che c’è da preoccuparsi, perché una figlia in preda allo sconforto è da sua madre che dovrebbe andare, non da un’altra, non da una che conosce appena, non è nell’ordine delle cose, questo,

Ecco, la lampada è accesa, quella piccola, non il lampadario, quella piccola lampada verde vicino alla finestra, sai, a volte scendo in strada e guardo, guardo il mio appartamento con gli occhi di un passante, o di una passante, che cammina per di lì e all’improvviso resta incuriosita o affascinata da quella lampada verde vicino alla finestra, lei – sì, credo che sarebbe una donna – pensa, Viene voglia di entrarci, in quell’appartamento, in quella stanza debolmente illuminata, di entrarci e di piazzarsi lì, una tazza di tè in mano, il tè e le lampade, da che mondo è mondo stanno insieme, vai a sapere perché, comunque io me ne resto in strada per un po’, a pensare a tutte queste cose, guardare con gli occhi di un’altra, di un’estranea di passaggio, mi fa bene, mi placa sempre, poi rientro in casa mia, mi siedo sulla poltrona beige, quella di fianco al tavolino su cui ho appoggiato la lampada verde, mi siedo e guardo la strada, fuori, gli alberi come ombre,

Ti sei mossa, forse stai per svegliarti. Ma no, non l’avrai mica dimenticato? Certo che non l’ho dimenticato come dorme una ragazza di diciott’anni. Non ho dimenticato niente. Quanto tempo andrà avanti, tutto questo? Quanto tempo può andare avanti?

Dovrei andarmene, invece non mi muovo da qui, questa stanza; non so cosa fare di me, delle mie braccia, le tengo incrociate sul petto, in realtà sono io a dovermi proteggere, mi proteggo dall’essere qui, d’essere in piedi, mi proteggo dall’averti offerto questo letto, di averti messo addosso questa coperta. Bisogna che ti lasci dormire; se ti svegliassi e mi trovassi qui, cosa penseresti? Avrei l’aria di una squinternata che borbotta per conto suo. Ho l’aria di una squinternata che borbotta per conto suo,

Marie

[Era lei, quando mi ha vista, ha detto ] «Ah ti sei svegliata», [poi] «Hai dormito tanto, bene». [Mi ha sorriso. Ha detto] «Sono andata a prendere del pane, dei croissant, hai fame?».

Io stavo lì, ferma, improvvisamente troppo grande, troppo adulta per quella casa, improvvisamente fuori posto, come se, mentre piangevo, mentre dormivo, potessi ancora darla ad intendere, ma qui, adesso, i miei diciott’anni, si vedono tutti, sono alta come lei, è così, dobbiamo farcene una ragione, ieri non c’è stato il tempo, o il coraggio, per cose tipo Sei cresciuta, quasi non ti riconoscevo, non ha avuto il coraggio di fingere, perché mi ha riconosciuta subito. «Aspetta che ti aiuto, dammi il pane, la minestrina era buonissima».
«Vuoi un caffè? Lo bevi il caffè?».
«Sì, lo berrei volentieri».
«Ridammi pure il sacchetto».
«Che mani fredde».

Alla fine abbiamo mangiato, io di più, lei mi guardava e parlava, non mi faceva domande, mi raccontava quello che aveva visto in città, quando era uscita quella mattina; uscita dal portone…

«Sono scesa in direzione del lago, ho camminato per un po’ sulle rive e mentre arrivavo al parcheggio della piscina ho scoperto che c’era un Luna Park, piccolissimo, un po’ misero, c’era l’auto scontro, una giostra con delle altalene che girano e si alzano sempre più in alto, come nei libri per bambini, con le gonne delle bimbe che prendono il volo, una bancarella di zucchero filato, e quell’artiglio con cui si acchiappano i peluche, hai presente, che poi cadono sempre prima di arrivare a te, è per questo che devi scegliere i più leggeri o quelli con le forme che si afferrano facilmente, devi puntare agli animali con le zampe grosse, con le orecchie grandi, o anche solo con un nastrino – a volte, con un po’ di fortuna, l’artiglio afferra il nastrino ed ecco che hai vinto, ma dipende da te? da quello che hai fatto?»

[Anna, riempie tutto lo spazio della cucina con le sue parole]

«Lucie lo adorava, ogni anno andavamo a passare qualche giorno a Palavas-les Flots, ne avrai ricevute, di cartoline da Palavas-les Flots, con il canale, i cavalli, i fenicotteri, di sera si andava al Luna Park, giravamo sempre attorno alle gabbie di vetro per scegliere quella che conteneva i peluche più belli, i più carini, e nella sua valigia, al ritorno, ce n’erano almeno una decina, di tutti i colori, orsi, conigli, pesci, cani, li avrai visti; adorava quel gioco, davvero; sai, stamattina, mi siete tornate in mente, voi due, piccole, la merenda in cucina, le crêpes, quel tempo così felice, così facile,

Non parla più, guarda il suo caffè come se fosse pieno di ricordi, non parla più perché sente che ora tocca a me, che lei non potrà, con il passare delle ore, affogare il mio dolore parlando, proteggersi dal mio vuoto con il suo abisso, placare la mia sete con il suo deserto, non può fare altro che deporre le armi e i pianti, adesso, e infatti tace,